Dai che ora hai tempo per organizzare la Chamonix Zermatt”: incomincia così a Ottobre 2024 l’avventura.
Zaini pesanti in spalla e mille pensieri per la testa. Ci siamo presentati così all’appuntamento mattutino fissato per sabato 29 marzo 2025 a Milano. L’autista dell’autobus di linea che ci avrebbe portato a Chamonix, controllata la nostra attrezzatura ci chiede cosa abbiamo in programma e saputolo formula la fatidica domanda: “Ma perché lo fate?”
Ognuno si fa l’esame di coscienza.
Una donna e otto uomini, età ed esperienze di vita differenti ma un unico sogno: fare la traversata Chamonix- Zermatt con gli sci ai piedi. Un gruppo fatto di istruttrici e istruttori della Scuola intersezionale di Alpinismo e Sci Alpinismo Valle del Seveso , con conoscenze affinate tra corsi e esperienze sul campo, ma anche e soprattutto di innamorati della montagna con sguardo curioso per l’avventura che sta per iniziare e grato per l’occasione.
E per raggiungere l’obiettivo ognuno ha dato il suo piccolo contributo.
La gentile bellezza, da tutti stimata per la preziosa e costante attenzione verso il resto del gruppo, per la passione e la determinazione che buca la fatica e per il suo motto carico di energia e sogni: “Si può fare!”
Il trio di senior dal passo misurato e dallo sguardo esperto, guide silenziose del cammino: con gambe abituate alla salita e orizzonti negli occhi, che sanno leggere le montagne meglio di qualunque mappa. Uno di loro, con la calma di chi sa aspettare, guardava le cime e ne svelava precisamente i nomi, tracciando confini invisibili tra valli e ricordi. L’altro, il capitano, solido e rassicurante, che ha orchestrato l’intera traversata con la precisione di un ingegnere e la dedizione di un padre. Teneva le fila con discrezione, ma con la fermezza di chi sa che ogni dettaglio conta. Segue il più sagace che ci ha raccontato tutti i segreti geologici del luogo per addolcire i molti saliscendi che eravamo costretti ad eseguire, pur di riuscire a guadagnare il traguardo. Infine le due altezze del gruppo, di cui uno doveva fare attenzione ai soffitti. Completa il gruppo dei giovani, con le gambe leggere e il cuore in avanti, che si lanciavano per primi, lasciando le loro tracce come promesse sulla neve fresca. Leprotti indomabili, spinti dalla voglia di misurarsi con la montagna, ma soprattutto con sé stessi.
Sei giorni di cammino
L’intera attraversata ha richiesto sei giorni di cammino per un totale di oltre 100 km e un dislivello positivo ampiamente sopra gli 8.000 metri.
Il primo giorno lo abbiamo dedicato al trasferimento in pullman da Milano fino ad Argentière, dove abbiamo soggiornato in un hotel molto confortevole e speso il nostro tempo degustando ottimo cibo e godendoci le coccole offerte dalla Spa. Una partenza al contrario: prima il piacere, poi il dovere. Ma è stato proprio il contrasto a rendere tutto ancora più intenso, come il cielo terso e la neve bianchissima che ci hanno accompagnato nella nostra traversata.
Dal giorno successivo è iniziata l’autentica impresa, la fatica concreta che lo scialpinismo richiede: sudore annientato dalla superba meraviglia che solo l’alta la montagna riserva a chi trova l’ardore di inoltrarsi nei suoi spazi austeri. Sei giorni sugli sci in alta quota, da Argentière a Zermatt, facendo tappa ogni giorno in un rifugio diverso. I dislivelli quotidiani sono sempre stati a quattro cifre, non sono mai scesi sotto i 1300 metri, le distanze coperte si sono spinte anche fino a 20 km al giorno. Ci siamo mossi quasi sempre su ghiacciai e in quota ma più che l’altitudine è stata la varietà del percorso a farsi sentire: salite, cambio di assetti, cambio di equipaggiamento, un continuo adattamento che ha richiesto un costante dispendio di energie.
Il tracciato scelto non è tecnicamente estremo, ma è reso impegnativo dal peso dello zaino, che aumenta ancora di più quando si ha il turno di portare la corda.
Ogni passo è misurato, ogni gesto dosato, ogni grammo di energia conservato.
Nessuna improvvisazione
Quando si pianificano itinerari come questo ogni decisione deve essere presa con accuratezza. Viene in mente l’articolo “Le vie dello Ski” pubblicato da C. Crovella su “Lo Zaino” n. 20 riguardo l’impostazione classica impartita dalle scuole di Sci Alpinismo del CAI.
E quindi la prima decisione: pianifichiamo due intervalli temporali e prenotiamo in sequenza i rifugi. Poi a ridosso della partenza scegliamo quale mantenere in base alle previsioni meteo.
Nei mesi che hanno preceduto la partenza, ci siamo incontrati più volte per definire i tracciati — studiati, condivisi e poi rivisti in loco in base al meteo e condizioni della neve. Abbiamo stilato liste dettagliate delle cose da portare e di quelle che potevamo lasciare a casa, perché ogni grammo nello zaino conta, e ogni oggetto inutile è solo zavorra. Ma sappiate che nel percorso abbiamo rotto tre bastoncini (erano in lista).
Abbiamo fatto prove tecniche su come legarsi in cordata, come muoversi in sicurezza sul ghiacciaio e affrontare un eventuale recupero da crepaccio. Non sono mancati momenti pratici in cui la teoria ha lasciato spazio a nodi, manovre e test.
La tecnologia è stata nostra alleata: GPS, satellitare, altimetri, app per cartine digitali, ricetrasmittenti ci hanno supportato nella navigazione e nel monitoraggio costante di altitudine, dislivello, esposizione e comunicazione. Ma, in quota, anche la migliore tecnologia è solo un complemento all’esperienza, alla lucidità e alla collaborazione tra i membri del gruppo.
Per la natura del terreno e la numerosità dei partecipanti a volte era complicato mantenere lo stesso passo, rimanere in gruppo su percorsi così lunghi e discontinui. Ma non lasciare mai nessuno solo e lo sguardo rivolto sempre a chi era dietro ci ha consentito di non perderci mai di vista, e di riunirci nei punti più critici.
Via il superfluo
Spazi bianchi sospesi tra ghiaccio e cielo, dove il sentiero non è tracciato e i confini si perdono all’orizzonte. E’ qui che si vive l'esperienza del vero viaggio.
Ogni giornata aveva il suo rituale. La sveglia prima dell’alba, il riposo frammentato: abbiamo dormito in camerate condivise, dove il silenzio è raro e i rumori — chi si gira, chi si alza, chi russa — dettano i tempi della notte.
La colazione come momento sacro: pane, burro, marmellata, porridge, succo, tè e caffè con latte - per gli svizzeri Caotina - per scaldare corpo e rifornire di energia i muscoli.
La preparazione dello zaino da fare con una precisione quasi maniacale perché nulla poteva essere dimenticato e nulla lasciato al caso. Ogni oggetto aveva il suo posto preciso, perché nel momento del bisogno — nel vento, nel freddo, nella fatica — doveva essere lì, subito a portata di mano. L’acqua, pagata a caro prezzo nei rifugi — fino a 12CHF per bottiglia — veniva razionata con attenzione. Il tè caldo, versato nei termos prima di partire, diventava un conforto prezioso nelle pause brevi, un ristoro destinato a scaldare più del sole.
All’uscita dal rifugio, i primi passi erano sempre i più duri: i muscoli ancora intorpiditi, il freddo mordente e la prospettiva di affrontare un’intera dura giornata di cammino.
Passi sul ghiaccio, firme sulla neve
Ma poi arrivava il sole. E con la luce la bellezza prendeva forma, il calore scaldava il nostro corpo e la sua mano invisibile ci spingeva avanti.
Abbiamo toccato rifugi storici e suggestivi, ognuno diverso, ognuno immerso in scenari maestosi.
Siamo arrivati la seconda sera alla Cabane du Trient attraverso il Col du Passon (che si trova prima del Col du Chardonnet partendo dal paese) e il Col Superiour du Tour.
Con la discesa a Champex Lac ed il taxi fino a Mayenne du Revers ci siamo spostati il giorno successivo alla Cabane FXB Panossière alla ricerca di un passaggio poco frequentato ma stupendo, dove anche l’autista del taxi spiegandoci il suo lavoro per incastrare i giusti intervalli al fine di trasportare avventurieri come noi ci confermava che poche persone scelgono questo itinerario.
La salita al Tournelon Blanc ma soprattutto la discesa verso la vallata per la Cabane de Chanrion il quarto giorno, ci hanno messo alla prova nella ricerca della giusta traccia, e qui ci siamo avvalsi anche del drone (a proposito di nuove tecnologie) per evitare di sbagliare l’intricato passaggio in discesa verso Le Jardin des Chamois.
Arrivati al rifugio, abbiamo dovuto rivedere i piani e l’itinerario programmato. Le condizioni meteorologiche sono inaspettatamente e repentinamente cambiate e per raggiungere in sicurezza la Cabane des Vignettes, abbiamo optato nel quinto giorno per la lunga risalita attraverso il ghiacciaio d’Otemma, evitando (con dispiacere) la salita alla Pigne d’Arolla.
Il penultimo giorno la pianificazione fatta a casa ci avrebbe fatto scendere dal Ghiaccaio alto di Arolla verso il canale che sale alla Cabane de Bertol, ma la neve caduta durante la notte e lo scoppio improvviso di una carica per mettere in sicurezza altri pendii, al Col de l’Evéque ci hanno fatto prendere la decisione di tenere la direzione di Zermatt fino al col de la Tête Blanche, per poi dirigerci in sicurezza fino al rifugio. Grazie a questa variante abbiamo incrociato il Team femminile Alpinequest (www.alpinequest.org) al Col du Mont Brulé e qui ci siamo confrontati con lo SkiAlp descritto da Crovella nel suo articolo dello Zaino n. 20, ma declinato su varie giornate di spostamento. Un’altra dimensione!
Alcuni rifugi erano più accoglienti, altri spartani, spesso senza acqua di fusione per lavarsi. Ma ogni arrivo è stato un traguardo. Sempre lo stupore di un’alba o di un tramonto ci ha lasciati senza parole.
Il meteo, in imprese come questa, gioca un ruolo chiave. E noi siamo stati fortunati: solo un giorno di bufera, con vento e neve, ci ha costretti a deviare dal percorso previsto.
Per fugare ogni dubbio prima di arrivare alla Cabane de Vignettes, la montagna ha voluto chiarire chi avesse in mano il nostro destino: la forza della bufera ci ha scossi come foglie in tempesta, e a ogni passo ci ricordava quanto fossimo minuscoli davanti alla sua potenza.
Lo sforzo finale
L’ultimo giorno, partendo dalla Cabane du Bertol, ci aspettava l’ultima salita, la sfida si stava completando e, seppur con 6 giorni di dislivelli ormai fatti, il passo si è fatto più rapido, i respiri più intensi. Nessuno parlava: eravamo in un silenzioso crescendo, ognuno raccolto nella propria fatica e nella consapevolezza che quella sarebbe stata l’ultima spinta da sostenere. Qualcuno, talmente concentrato, ha persino dimenticato di bere o mangiare.
Poi, raggiunta l'ultima cima la Tête Blanche, lambita il giorno precedente ed ora come una libertà conquistata, i volti si sono illuminati con sorrisi che non hanno bisogno di parole: difficile trattenere l’emozione senza abbracciarsi, quella piccola croce in cima, abbassata dallo spessore della neve, era il segno tangibile che l’impresa era quasi compiuta. Eravamo tutti lì con dentro la stessa soddisfazione: ce l’abbiamo fatta.
L’aria gelida si faceva calda sotto l’intensità dell’energia che ognuno di noi liberava, mentre la fatica, come un’ombra lontana, svaniva nel silenzio di quel momento.
Abbiamo sciato su ghiacciaio, in vallate apparentemente infinite, attraversato luoghi disegnati dalla natura. Abbiamo seguito tracce che il vento cancellava e disegnato traiettorie nuove su pendii immacolati. Ma oltre ad aver attraversato montagne, abbiamo imparato a camminare insieme: ognuno con i propri pensieri, mai davvero soli perché in montagna non lo si è mai davvero anche laddove il silenzio regna. In sei giorni, senza mai dirselo, abbiamo costruito qualcosa che va oltre l’impresa fisica: una fiducia reciproca che nasce da piccoli gesti, da uno sguardo lanciato durante una salita difficile, da una borraccia passata, dal rimpiazzare occhiali dispersi nello zaino, da un passo rallentato per aspettare.
Ognuno ha portato con sé i propri pensieri, la propria fatica, i propri silenzi, che qualcuno ha condiviso — a volte senza nemmeno accorgersene — con chi gli stava accanto. Il gruppo ha assorbito le vulnerabilità di ciascuno trasformandola in forza propulsiva.. In quota si parla con gli occhi, si respira con l’anima.
Questa intensa esperienza è stata possibile grazie alla forza e al rispetto reciproco di questo gruppo che ha sprigionato sicurezza. Un’ancora silenziosa ma sempre presente, che ha reso possibile l’impresa e l’ha trasformata in qualcosa di più grande.
La discesa verso Zermatt
E poi inizia la lunghissima discesa verso Zermatt, un sogno che stava già lasciando il suo segno ancor prima di finire.
“Piacer figlio d’affanno” scrisse il poeta e noi umilmente ci riconosciamo in queste parole.
La traversata si è chiusa, ai piedi del Cervino, ma l’esperienza fatta continuerà dentro di noi.
Perché quando finisce il sentiero, il viaggio continua.
“Dai che ora hai tempo per organizzare la Chamonix Zermatt”: incomincia così a Ottobre 2024 l’avventura.
Zaini pesanti in spalla e mille pensieri per la testa. Ci siamo presentati così all’appuntamento mattutino fissato per sabato 29 marzo 2025 a Milano. L’autista dell’autobus di linea che ci avrebbe portato a Chamonix, controllata la nostra attrezzatura ci chiede cosa abbiamo in programma e saputolo formula la fatidica domanda: “Ma perché lo fate?”
Ognuno si fa l’esame di coscienza.
Una donna e otto uomini, età ed esperienze di vita differenti ma un unico sogno: fare la traversata Chamonix- Zermatt con gli sci ai piedi. Un gruppo fatto di istruttrici e istruttori della Scuola intersezionale di Alpinismo e Sci Alpinismo Valle del Seveso , con conoscenze affinate tra corsi e esperienze sul campo, ma anche e soprattutto di innamorati della montagna con sguardo curioso per l’avventura che sta per iniziare e grato per l’occasione.
E per raggiungere l’obiettivo ognuno ha dato il suo piccolo contributo.
La gentile bellezza, da tutti stimata per la preziosa e costante attenzione verso il resto del gruppo, per la passione e la determinazione che buca la fatica e per il suo motto carico di energia e sogni: “Si può fare!”
Il trio di senior dal passo misurato e dallo sguardo esperto, guide silenziose del cammino: con gambe abituate alla salita e orizzonti negli occhi, che sanno leggere le montagne meglio di qualunque mappa. Uno di loro, con la calma di chi sa aspettare, guardava le cime e ne svelava precisamente i nomi, tracciando confini invisibili tra valli e ricordi. L’altro, il capitano, solido e rassicurante, che ha orchestrato l’intera traversata con la precisione di un ingegnere e la dedizione di un padre. Teneva le fila con discrezione, ma con la fermezza di chi sa che ogni dettaglio conta. Segue il più sagace che ci ha raccontato tutti i segreti geologici del luogo per addolcire i molti saliscendi che eravamo costretti ad eseguire, pur di riuscire a guadagnare il traguardo. Infine le due altezze del gruppo, di cui uno doveva fare attenzione ai soffitti. Completa il gruppo dei giovani, con le gambe leggere e il cuore in avanti, che si lanciavano per primi, lasciando le loro tracce come promesse sulla neve fresca. Leprotti indomabili, spinti dalla voglia di misurarsi con la montagna, ma soprattutto con sé stessi.
SEI GIORNI DI CAMMINO
L’intera attraversata ha richiesto sei giorni di cammino per un totale di oltre 100 km e un dislivello positivo ampiamente sopra gli 8.000 metri.
Il primo giorno lo abbiamo dedicato al trasferimento in pullman da Milano fino ad Argentière, dove abbiamo soggiornato in un hotel molto confortevole e speso il nostro tempo degustando ottimo cibo e godendoci le coccole offerte dalla Spa. Una partenza al contrario: prima il piacere, poi il dovere. Ma è stato proprio il contrasto a rendere tutto ancora più intenso, come il cielo terso e la neve bianchissima che ci hanno accompagnato nella nostra traversata.
Dal giorno successivo è iniziata l’autentica impresa, la fatica concreta che lo scialpinismo richiede: sudore annientato dalla superba meraviglia che solo l’alta la montagna riserva a chi trova l’ardore di inoltrarsi nei suoi spazi austeri. Sei giorni sugli sci in alta quota, da Argentière a Zermatt, facendo tappa ogni giorno in un rifugio diverso. I dislivelli quotidiani sono sempre stati a quattro cifre, non sono mai scesi sotto i 1300 metri, le distanze coperte si sono spinte anche fino a 20 km al giorno. Ci siamo mossi quasi sempre su ghiacciai e in quota ma più che l’altitudine è stata la varietà del percorso a farsi sentire: salite, cambio di assetti, cambio di equipaggiamento, un continuo adattamento che ha richiesto un costante dispendio di energie.
Il tracciato scelto non è tecnicamente estremo, ma è reso impegnativo dal peso dello zaino, che aumenta ancora di più quando si ha il turno di portare la corda.
Ogni passo è misurato, ogni gesto dosato, ogni grammo di energia conservato.
NESSUNA IMPROVVISAZIONE
Quando si pianificano itinerari come questo ogni decisione deve essere presa con accuratezza. Viene in mente l’articolo “Le vie dello Ski” pubblicato da C. Crovella su “Lo Zaino” n. 20 riguardo l’impostazione classica impartita dalle scuole di SciAlpinismo del CAI.
E quindi la prima decisione: pianifichiamo due intervalli temporali e prenotiamo in sequenza i rifugi. Poi a ridosso della partenza scegliamo quale mantenere in base alle previsioni meteo.
Nei mesi che hanno preceduto la partenza, ci siamo incontrati più volte per definire i tracciati — studiati, condivisi e poi rivisti in loco in base al meteo e condizioni della neve. Abbiamo stilato liste dettagliate delle cose da portare e di quelle che potevamo lasciare a casa, perché ogni grammo nello zaino conta, e ogni oggetto inutile è solo zavorra. Ma sappiate che nel percorso abbiamo rotto tre bastoncini (erano in lista).
Abbiamo fatto prove tecniche su come legarsi in cordata, come muoversi in sicurezza sul ghiacciaio e affrontare un eventuale recupero da crepaccio. Non sono mancati momenti pratici in cui la teoria ha lasciato spazio a nodi, manovre e test.
La tecnologia è stata nostra alleata: GPS, satellitare, altimetri, app per cartine digitali, ricetrasmittenti ci hanno supportato nella navigazione e nel monitoraggio costante di altitudine, dislivello, esposizione e comunicazione. Ma, in quota, anche la migliore tecnologia è solo un complemento all’esperienza, alla lucidità e alla collaborazione tra i membri del gruppo.
Per la natura del terreno e la numerosità dei partecipanti a volte era complicato mantenere lo stesso passo, rimanere in gruppo su percorsi così lunghi e discontinui. Ma non lasciare mai nessuno solo e lo sguardo rivolto sempre a chi era dietro ci ha consentito di non perderci mai di vista, e di riunirci nei punti più critici.
VIA IL SUPERFLUO
Spazi bianchi sospesi tra ghiaccio e cielo, dove il sentiero non è tracciato e i confini si perdono all’orizzonte. E’ qui che si vive l'esperienza del vero viaggio.
Ogni giornata aveva il suo rituale. La sveglia prima dell’alba, il riposo frammentato: abbiamo dormito in camerate condivise, dove il silenzio è raro e i rumori — chi si gira, chi si alza, chi russa — dettano i tempi della notte.
La colazione come momento sacro: pane, burro, marmellata, porridge, succo, tè e caffè con latte - per gli svizzeri Caotina - per scaldare corpo e rifornire di energia i muscoli.
La preparazione dello zaino da fare con una precisione quasi maniacale perché nulla poteva essere dimenticato e nulla lasciato al caso. Ogni oggetto aveva il suo posto preciso, perché nel momento del bisogno — nel vento, nel freddo, nella fatica — doveva essere lì, subito a portata di mano. L’acqua, pagata a caro prezzo nei rifugi — fino a 12CHF per bottiglia — veniva razionata con attenzione. Il tè caldo, versato nei termos prima di partire, diventava un conforto prezioso nelle pause brevi, un ristoro destinato a scaldare più del sole.
All’uscita dal rifugio, i primi passi erano sempre i più duri: i muscoli ancora intorpiditi, il freddo mordente e la prospettiva di affrontare un’intera dura giornata di cammino.
PASSI SUL GHIACCIO, FIRME SULLA NEVE
Ma poi arrivava il sole. E con la luce la bellezza prendeva forma, il calore scaldava il nostro corpo e la sua mano invisibile ci spingeva avanti.
Abbiamo toccato rifugi storici e suggestivi, ognuno diverso, ognuno immerso in scenari maestosi.
Siamo arrivati la seconda sera alla Cabane du Trient attraverso il Col du Passon (che si trova prima del Col du Chardonnet partendo dal paese) e il Col Superiour du Tour.
Con la discesa a Champex Lac ed il taxi fino a Mayenne du Revers ci siamo spostati il giorno successivo alla Cabane FXB Panossière alla ricerca di un passaggio poco frequentato ma stupendo, dove anche l’autista del taxi spiegandoci il suo lavoro per incastrare i giusti intervalli al fine di trasportare avventurieri come noi ci confermava che poche persone scelgono questo itinerario.
La salita al Tournelon Blanc ma soprattutto la discesa verso la vallata per la Cabane de Chanrion il quarto giorno, ci hanno messo alla prova nella ricerca della giusta traccia, e qui ci siamo avvalsi anche del drone (a proposito di nuove tecnologie) per evitare di sbagliare l’intricato passaggio in discesa verso Le Jardin des Chamois.
Arrivati al rifugio, abbiamo dovuto rivedere i piani e l’itinerario programmato. Le condizioni meteorologiche sono inaspettatamente e repentinamente cambiate e per raggiungere in sicurezza la Cabane des Vignettes, abbiamo optato nel quinto giorno per la lunga risalita attraverso il ghiacciaio d’Otemma, evitando (con dispiacere) la salita alla Pigne d’Arolla.
Il penultimo giorno la pianificazione fatta a casa ci avrebbe fatto scendere dal Ghiaccaio alto di Arolla verso il canale che sale alla Cabane de Bertol, ma la neve caduta durante la notte e lo scoppio improvviso di una carica per mettere in sicurezza altri pendii, al Col de l’Evéque ci hanno fatto prendere la decisione di tenere la direzione di Zermatt fino al col de la Tête Blanche, per poi dirigerci in sicurezza fino al rifugio. Grazie a questa variante abbiamo incrociato il Team femminile Alpinequest (www.alpinequest.org) al Col du Mont Brulé e qui ci siamo confrontati con lo SkiAlp descritto da Crovella nel suo articolo dello Zaino n. 20, ma declinato su varie giornate di spostamento. Un’altra dimensione!
Alcuni rifugi erano più accoglienti, altri spartani, spesso senza acqua di fusione per lavarsi. Ma ogni arrivo è stato un traguardo. Sempre lo stupore di un’alba o di un tramonto ci ha lasciati senza parole.
Il meteo, in imprese come questa, gioca un ruolo chiave. E noi siamo stati fortunati: solo un giorno di bufera, con vento e neve, ci ha costretti a deviare dal percorso previsto.
Per fugare ogni dubbio prima di arrivare alla Cabane de Vignettes, la montagna ha voluto chiarire chi avesse in mano il nostro destino: la forza della bufera ci ha scossi come foglie in tempesta, e a ogni passo ci ricordava quanto fossimo minuscoli davanti alla sua potenza.
LO SFORZO FINALE
L’ultimo giorno, partendo dalla Cabane du Bertol, ci aspettava l’ultima salita, la sfida si stava completando e, seppur con 6 giorni di dislivelli ormai fatti, il passo si è fatto più rapido, i respiri più intensi. Nessuno parlava: eravamo in un silenzioso crescendo, ognuno raccolto nella propria fatica e nella consapevolezza che quella sarebbe stata l’ultima spinta da sostenere. Qualcuno, talmente concentrato, ha persino dimenticato di bere o mangiare.
Poi, raggiunta l'ultima cima la Tête Blanche, lambita il giorno precedente ed ora come una libertà conquistata, i volti si sono illuminati con sorrisi che non hanno bisogno di parole: difficile trattenere l’emozione senza abbracciarsi, quella piccola croce in cima, abbassata dallo spessore della neve, era il segno tangibile che l’impresa era quasi compiuta. Eravamo tutti lì con dentro la stessa soddisfazione: ce l’abbiamo fatta.
L’aria gelida si faceva calda sotto l’intensità dell’energia che ognuno di noi liberava, mentre la fatica, come un’ombra lontana, svaniva nel silenzio di quel momento.
Abbiamo sciato su ghiacciaio, in vallate apparentemente infinite, attraversato luoghi disegnati dalla natura. Abbiamo seguito tracce che il vento cancellava e disegnato traiettorie nuove su pendii immacolati. Ma oltre ad aver attraversato montagne, abbiamo imparato a camminare insieme: ognuno con i propri pensieri, mai davvero soli perché in montagna non lo si è mai davvero anche laddove il silenzio regna. In sei giorni, senza mai dirselo, abbiamo costruito qualcosa che va oltre l’impresa fisica: una fiducia reciproca che nasce da piccoli gesti, da uno sguardo lanciato durante una salita difficile, da una borraccia passata, dal rimpiazzare occhiali dispersi nello zaino, da un passo rallentato per aspettare.
Ognuno ha portato con sé i propri pensieri, la propria fatica, i propri silenzi, che qualcuno ha condiviso — a volte senza nemmeno accorgersene — con chi gli stava accanto. Il gruppo ha assorbito le vulnerabilità di ciascuno trasformandola in forza propulsiva.. In quota si parla con gli occhi, si respira con l’anima.
Questa intensa esperienza è stata possibile grazie alla forza e al rispetto reciproco di questo gruppo che ha sprigionato sicurezza. Un’ancora silenziosa ma sempre presente, che ha reso possibile l’impresa e l’ha trasformata in qualcosa di più grande.
LA DISCESA VERSO ZERMATT
E poi inizia la lunghissima discesa verso Zermatt, un sogno che stava già lasciando il suo segno ancor prima di finire.
“Piacer figlio d’affanno” scrisse il poeta e noi umilmente ci riconosciamo in queste parole.
La traversata si è chiusa, ai piedi del Cervino, ma l’esperienza fatta continuerà dentro di noi.
Perché quando finisce il sentiero, il viaggio continua.